L’agonia del Boss in uno Stato che c’è

I notiziari dicono che il Boss dei Boss sta morendo.

È forse complottismo dire “ma era ovvio!”?

Catturato, dopo anni e anni di latitanza, con scenografiche operazioni volte a mostrare che “Lo Stato c’è”, catturato insomma quando oramai non cambiava più nulla, lo spettacolo non poteva che concludersi così.

Lo Stato c’è. Anche a Caivano, dove sempre le solite scenografiche rappresentazioni hanno occupato il territorio per un giorno, in mezzo ai sorrisi e alle ipocrite speranze di chi ha tutta la convenienza che lo Stato ci sia: come una maschera, ma ci sia.

Verrebbe da dire: magari lo Stato non ci fosse!

E invece c’è, con il suo tutto occupare con la collusione, la corruzione, il menefreghismo.

Con il sovvertimento del confine tra il vero e il falso, rendendo, d’imperio, vero ciò che è falso e falso ciò che è vero.

Quando frequentavo le lezioni all’università, mi era stato insegnato che se tutto è mafia, niente allora è più mafia: in altri termini, qualificare qualsiasi organizzazione criminale come associazione a delinquere di stampo mafioso ha l’effetto di rendere liquide le differenze tra i diversi fenomeni criminali e, per l’effetto, sminuire la gravità del fenomeno tipicamente mafioso.

Vero.

L’art. 416-bis del codice penale dice: “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione  del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.

Leggere il testo dell’art. 416-bis del codice penale finisce allora per creare un certo imbarazzo nell’interprete un po’ timido che ha sempre avuto fiducia nelle Istituzioni Repubblicane.

E la ragione dell’imbarazzo è tristemente facile da cogliere.

Il rappresentare alla cittadinanza, tramite lo strumento mediatico, una in realtà falsa (in chiave di contrasto) presenza dello Stato nei territori maggiormente flagellati da fenomeni criminali quali mafia, camorra, terrorismo di diversa matrice, stabilendo dunque d’imperio, per il solo fatto di dirlo, che “Lo Stato c’è” e affermando, sempre d’imperio, che il negare che lo Stato ci sia è falso, non è forse un tentativo di intimidazione dell’opinione pubblica?

Perché se lo dice il Governo, se lo dicono i media e se gli unici a negarlo sono i membri di un’opposizione farlocca che lo nega solo perché si trova all’opposizione, quale spazio rimane per negare una falsità creata a poteri unificati?

Rimane si il piccolo e raro cittadino che non ha ancora perduto la capacità di ragionare con la propria testa, ma che non ha alcuna possibilità di svegliare una massa lietamente addormentata nei propri qualunquistici sogni: una massa che, se anche avesse gli strumenti per non farsi intimidire, è oramai troppo pigra per usarli.

E ancora: rappresentare, sempre mediaticamente, una poco credibile presenza di tentativi di scardinare quelle logiche criminali da parte di altrettanto poco credibili singoli soggetti che sembrano più che altro cercare la risonanza mediatica del momento, non è forse un tentativo di intimidazione dell’opinione pubblica, alla quale viene veicolata dall’alto una drastica suddivisione tra buoni e cattivi senza possibilità di replica?

Perché se il Governo, i media e tutto il circo che vi ruota intorno, stabiliscono dall’alto patenti di “antimafia”, senza possibilità di replica, il riservare delle perplessità in proposito finisce per far cadere l’ostinato libero pensatore nel girone dei menagrami.

Quanto è allora forte l’assoggettamento diffuso dell’opinione pubblica alle falsità veicolate dai media, longa manus di un Potere che, al contrario dei vari Boss dei Boss di turno, non muore mai?

Ecco allora che, di fronte a questi interrogativi, i casi sono due: o il timido interprete sceglie di rimanere timido, perché conviene, perché così fan tutti eccetera eccetera; oppure il timido interprete decide di fare un salto di qualità nella propria vita, cominciando ad esercitare il primo strumento fondativo della libertà, vale a dire il dubbio.

Ma la domanda vera è: a chi interessa ancora la libertà?

© Avvocato Silvia Cignoli

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